Riproduciamo questo articolo dal numero 137 – Aprile 2012 – di “altreconomia” perché i problemi che Roberto Mancini analizza, come anche la proposta che avanza trovano profonda sintonia nel nostro modo di pensare e nell’esperienza, pure giovane, che abbiamo fatto e che stiamo realizzando.

 ***

Una scuola per l’altra economia. E’ un organismo di approfondimento culturale e cognitivo che mi sembra indispensabile per consentire alla cultura della demo­crazia economica e dell’armonizzazione con la natura di mettere radici.

L’attuale fase di gestione “tecnica” della strategia di risposta alla crisi, se comporta sicuramente un progresso morale e istituzionale rispetto all’era berlusconiana, non rappresenta di per sé un passo avanti nel modo di conce­pire l’economia. II carattere “tecnico” della gestione attuale del governo e in particolare del profilo economico della vita pubblica si sta rivelando come “iper-politico”. Infatti i criteri ritenuti “tecnici” non sono affatto neutri, sono sovraordinati alla normale dialettica politica perché sono congruenti con le esigenze del mercato finanziario. Si sceglie il rafforzamento della de­mocrazia, oppure la sua riduzione a vantaggio dei mercati? Si tutelano le persone che lavorano e la dignità del lavoro stesso, oppure si chiede loro di adattarsi per dare più garanzie alle grandi imprese e agli investitori? Si sostiene lo Stato sociale o lo si ridi­mensiona secondo il criterio esclusivo della drastica diminuzione del suo peso nel bilancio statale? Tutte queste scelte sono date per scontate e tutte nel sen­so della seconda possibilità indicata in queste alternative. La tecnica è l’ope­ra che dà esecuzione a questo tipo di orientamento. In tal modo si risana il bilancio dal punto di vista contabile ma si aggrava la patologia tipica di un modello culturale e politico che prefe­risce il mercato alla società.

Evidenzio tale situazione complessiva non per fare profezie di sventura; al contrario, penso che la coscienza della tendenza sistemica e ideologica al momento prevalente nello spazio pub­blico sia una condizione indispensabile per costruire vere risposte alla crisi e per dare vita a un progetto alternativo nel modo di concepire il rapporto tra economia e società. Questo impegno è tanto più urgente in quanto non solo la  logica dell’élite al potere è quella che ho descritto, ma anche la menta­lità spesso diffusa nella società italiana non è ancora cosi affezionata alla de­mocrazia, segnata com’è da confusio­ne, individualismo e qualunquismo. Bisogna ammettere, senza cedere alla retorica dell’autorassicurazione, che i risultati della recente consultazione referendaria e le vicende elettorali di Napoli, Milano o Cagliari non basta­no a sradicare una tenace tradizione di distanza dalla cultura democratica. Abbiamo bisogno della crescita della partecipazione dei cittadini e anche dello sviluppo sistematico dell’azione dell’educazione civile nella scuola ma anche nelle famiglie. Nel contempo è urgente la formulazione di un chiaro progetto politico alternativo.

Oltre a questi fattori di cambiamen­to, resta la necessità di avvalersi della conoscenza. Ogni dimensione della vita democratica implica infatti l’ac­cesso ai frutti migliori della ricerca e dell’apprendimento. Proprio per que­sta ragione, l’altra economia non può restare disseminata in una miriade di esperienze che, sebbene significative, non riescono a costituire una tradizio­ne radicata nel Paese. E’ necessario che ci siano dei luoghi di formazione, di ricerca, di socializzazione del nucleo di conoscenze maturate grazie alle espe­rienze di economia alternativa.

Le facoltà universitarie di economia in Italia non riescono a soddisfare questa esigenza, anche perche in molti casi non fanno altro che formare i giova­ni ai dogmi dell’ortodossia neoliberi­sta. Il contributo dei docenti e degli studiosi critici è imprescindibile, ma occorre dare qualche punto di riferi­mento, dove chi desideri approfondire la sapienza dell’economia umanizzata possa trovare una fonte attendibile.

Un tempo erano sorte molte “scuole di politica”, spesso rimaste poco rilevan­ti per il loro carattere teorico, distante dalle dinamiche della vita pubblica e dall’azione dei movimenti per un’altra politica. Una scuola di altra econo­mia dovrebbe evitare questo errore e dovrebbe alimentarsi dell’apporto di quanti, in questi anni, hanno saputo fare della loro testimonianza una ri­cerca veramente feconda. I gruppi e gli organismi più consolidati in Italia potrebbero ormai chiedersi se sono in grado di dare vita ad almeno un centro nazionale che promuova l’acquisizione dei saperi più adeguati per costruire un modello economico inedito, dato che non ci viene molto dagli esempi del passato e, piuttosto, dobbiamo guarda­re avanti.

 

Roberto Mancini insegna filosofia teoretica all’Università di Macerata