di Nora Inwinkl

Non è un caso che si sia tenuta a Barcellona la quarta Conferenza Internazionale su Monete Sociali e Complementari “Denaro, coscienza e valori per il cambio sociale”*, che dal 10 al 14 maggio ha accolto oltre 300 persone provenienti da 40 Paesi. È noto infatti che entro il 2019 la capitale catalana avrà una moneta tutta sua, così come affermato dalla sindaca Ada Colau, eletta nel giugno del 2015 con la piattaforma cittadina nata con il nome di Guanyem Barcelona. Mentre a Barcellona si sta conducendo una sperimentazione in alcuni quartieri della città, nella confinante Santa Coloma de Gramenet la Grama, moneta locale promossa dal Comune, ha iniziato a circolare da gennaio ed è già possibile usarla nelle attività commerciali aderenti. Sono questi solo due esempi delle circa trenta monete presenti ad oggi in Catalunya, ciascuna con la propria specificità.
La Conferenza ha permesso a centinaia di persone di conoscere e confrontare esperienze e pratiche, saperi e strumenti necessari allo sviluppo di monete sociali e complementari. L’eterogeneità dei partecipanti è stata sicuramente un valore aggiunto, che ha reso possibile la presenza di registri e punti di vista tra loro molto differenti. A presentare i propri lavori c’erano esponenti del mondo della ricerca, ma anche attori politico-istituzionali provenienti da Comuni di diversi Paesi, attori economici appartenenti al mondo delle imprese e ancora attori della società civile che sperimentano e promuovono monete dal basso. Risulta subito evidente come le monete sociali e complementari non siano un punto d’arrivo, ma uno strumento da mettere in campo per il raggiungimento di obiettivi prefissati ed è da questi che bisogna partire per capire l’enorme potenziale che queste hanno e, al tempo stesso, i rischi che possono celarsi.
Ci sono le monete promosse dai governi locali e a queste è stata dedicata un’intera mattinata con la presentazione di sette esperienze europee: il SoNantes, della città francese di Nantes, una moneta complementare che funziona con tessere magnetiche che ricordano –solo nella forma- le carte di credito, promossa in partenariato dal Comune e dal governo metropolitano e gestita da una public utility bank; l’esperienza portoghese Pago em Lixo, promossa in un distretto (freguesia) della capitale, che premia i cittadini che fanno la raccolta differenziata e la portano nei centri di raccolta con una moneta che può essere spesa solo nel commercio locale (in portoghese lixo significa immondizia); il Bristol Pound, sicuramente l’esperienza più conosciuta, con banconote proprie che si possono avere cambiando le sterline nei Bristol Pound Cash Point; l’Ossetana di San Juan de Aznalfarache, città vicino a Siviglia, basata su un sistema digitale ma che durante fiere e mercati stampa biglietti da usare per l’occasione; la già citata Grama, che ha iniziato a circolare a gennaio attraverso sovvenzioni del Comune per progetti di associazioni e organizzazioni che lavorano sul territorio e che funziona anch’essa su una piattaforma digitale; la moneta di Siviglia, un’esperienza recentissima, ancora senza nome, che al momento è inserita in un progetto pilota nei tre quartieri più poveri della città.
La settima esperienza del tavolo si distingue dalle precedenti perché nasce dal basso, da un gruppo di cittadini e cittadine che, ispirandosi al movimento delle Transition Town, inizia un percorso di studio e ricerca per trovare la soluzione più adatta al territorio. È l’esperienza della Turuta, nella città di Vilanova i la Geltrù, a 45 km da Barcellona. La moneta è gestita da un’associazione che conta oggi quasi 400 soci e che ha recentemente stipulato una convenzione col Comune. Quest’ultimo è infatti diventato socio, alla pari degli altri cittadini, e questa decisione è stata approvata all’unanimità dall’intero consiglio comunale, garantendo così una continuità anche in caso ci fossero cambiamenti di governo. Molte altri sono gli esempi presentati promossi dalla società civile organizzata e che funzionano in reti locali, come ad esempio il sistema delle Ecoxarxes (ecoreti) catalane, che uniscono il modello dei LETS (local exchange trading system) allo scambio da moneta ufficiale a moneta locale, in modo che possano partecipare agli scambi anche persone esterne al circuito.
Un’ulteriore categoria è quella dei Circuiti di Credito Commerciale, dove spicca il caso italiano del Sardex, nato nel 2009 a Serramanna, Comune situato nella parte meridionale della Sardegna. Il circuito è costituito da aziende locali che usano il Sardex come moneta complementare di valore 1 Sardex = 1 Euro, accelerando in questo modo gli scambi interni e promuovendo il commercio locale. Si tratta di una moneta messa in campo da privati per facilitare gli scambi economici tra imprese, il Sardex infatti può essere usato da aziende e liberi professionisti, da chiunque cioè disponga di una Partita IVA. Il successo del Sardex lo raccontano i numeri: il volume delle transazioni ha raggiunto nel 2015 51 milioni di di Sardex e nel 2016 81 milioni. Tale successo ha portato alla costituzione della Sardex S.p.A., una vera e propria agenzia di broker, con una sede a Milano e nuovi soci tra cui Banca Sella Holding, Innogest e Invitalia Ventures. È inoltre di pochi giorni fa l’accordo siglato tra Sardex e Banca Etica, un segnale importante che unisca i circuiti delle monete locali ai temi della finanza etica. Si tratta di un modello di business che si sta replicando in altre regioni italiane e si prevede per il 2018 di superare le Alpi e approdare all’estero.
Tutti questi casi, che sono solo una piccola parte delle esperienze presentate, lasciano ben intendere la varietà di monete “alternative” che possono essere realizzate e promosse e, come si diceva all’inizio, l’importanza che hanno gli obiettivi preposti e gli attori implicati. Ad esempio è chiaro come la presenza di un ente pubblico, come ad esempio il Comune, possa servire da garante per il successo della moneta in termini di fidelizzazione, soprattutto quando viene reso possibile il pagamento di alcune imposte locali con queste monete, come succede a Bristol e Vilanova i Geltrù; il Comune può inoltre utilizzare queste monete per pagare parte degli stipendi ai dipendenti pubblici o delle sovvenzioni per associazioni locali, come sta avvenendo a Santa Coloma de Gramenet. Se a promuoverle ci pensa la società civile, le esperienze possono sembrare più fragili, ma un occhio più attento si accorge subito come esse nascano da gruppi locali organizzati in reti che si impegnano a promuovere un modello differente di economia e di sviluppo locale, lavorando sulla transizione dal sistema attualmente dominante, accusato di generare disuguaglianza, povertà ed esclusione, ad uno più equo e inclusivo. Chi entra in queste reti aderisce ad un progetto di trasformazione economica e sociale. Le monete promosse da attori economici nell’ottica di un nuovo business attraggono investitori e possono godere di quegli strumenti propri del business (pubblicità, marketing, consulenze, ecc.) per facilitarne la diffusione. Queste sono solo alcune delle molte riflessioni che andrebbero fatte attorno a questo tema, sempre consapevoli che non esistono monete buone e monete cattivi, poiché queste sono solo strumenti di progetti e/o politiche ben più ampi.

*L’incontro è stato organizzato dall’Universitat Oberta de Catalunya (UOC) in collaborazione con Research Association on Monetary Innovation and Community and Complementary Currency Systems (RAMICS), la International Journal of Community Currency Research (IJCCR), l’ Instituto de la Moneda Social (IMS), la Xarxa d’Economia Solidària catalana (XES Catalunya) e la Sustainability School e con il supporto del Comune di Barcellona.
Dal sito della conferenza è possibile scaricare gli abstract degli interventi.