Le luci sulla Conferenza ONU e sul Summit dei Popoli di Rio de Janeiro si erano spente e già dopo un mese gli incontri “post-Rio” – quale la Conferenza “Resource 2012” svoltasi a Oxford lo scorso 12 luglio –  aprivano scenari che sotterravano promesse e speranze. Proprio la sintesi di questa Conferenza, riportata sul sito web del giornale inglese The Guardian, ci diceva che la battaglia globale per le risorse naturali è solo all´inizio, non se ne conosce ancora appieno l’impatto ma sicuramente porterà stravolgimenti in ogni paese. Il rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la sicurezza alimentare e la nutrizione – David Nabarro – ha tentato di difendere i risultati di “Rio+20” in particolare riguardo la promozione di un’agricoltura maggiormente sostenibile; il premio Nobel dell´Economia, Amartya Sen, dal canto suo,  ha sostenuto che non sarà certo il libero mercato a garantire una condivisione delle risorse mondiali, mentre dovrebbero essere i governi ad impedire che gli interessi degli uomini d’affari e dei mercati finanziari  abbiano il sopravvento sui bisogni elementari delle persone e ad  intervenire per garantire che tutti abbiano accesso alle risorse essenziali.

Voci, punti di vista e prospettive differenti fino ad essere inconciliabili: le stesse che a Rio hanno visto protagonisti i grandi interessi della [green] economy, le istituzioni internazionali e i governi nazionali prigionieri della crisi globale e incapaci di strategie di lungo termine, le società civili e i movimenti che al Summit dei Popoli hanno provato a far sentire la propria presenza anche dando – per quanto è stato possibile – il proprio contributo alla stesura del documento finale della Conferenza.

Proprio in questi giorni la storia si ripete e…in Italia! Con la differenza che nel nostro Paese anche la green economy rischia di rimanere una prospettiva per imprenditori lungimiranti!

Nel Decreto Sviluppo, infatti, che dovrebbe segnare l’avvio della tanto auspicata ripresa della “crescita” della nostra economia, si ipotizzano 25.000 nuovi posti di lavoro e 15 miliardi di euro di investimenti in una rinnovata e novecentesca corsa… al petrolio! Nel dossier “Trivella selvaggia”  (http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/dossier-trivella-selvaggia) , pubblicato da Legambiente il 30 luglio, si prefigura uno scenario secondo il quale alle 9 trivelle già in azione nei nostri mari, se ne potrebbero aggiungere in breve tempo altre 70! “Un quadro allarmante  – denuncia il dossier – che rischia di ipotecare seriamente il futuro delle coste e del mare italiano e delle attività economiche connesse – a partire dal turismo di qualità e dalla pesca sostenibile – con rischi di incidenti che non vale la pena di correre a maggior ragione considerando i  quantitativi irrisori presenti nei fondali marini italiani”.

Già, perché al danno si unisce la beffa di una produzione che – per ammissione della Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche dello stesso Ministero dello Sviluppo Economico – sarà destinata ad esaurirsi in pochi anni (massimo 14!) e, come se non bastasse, costituirebbe l’ennesimo favore a compagnie straniere (su 41 istanze in valutazione, solo due permessi di ricerca verrebbero dati all’Eni e uno all’Enel).

La politica energetica prefigurata nel Decreto Sviluppo – denuncia il dossier di Legambiente – “sta portando il nostro Paese in un vicolo cieco: ha approvato i nuovi decreti di incentivazione per il fotovoltaico e le altre rinnovabili elettriche riempiendo il settore di burocrazia e paletti inutili e mettendo in serio pericolo un settore strategico per ridurre la dipendenza dall’estero, le emissioni di gas serra e inquinanti e per contribuire a far uscire il nostro Paese dalla crisi”.

Lo sviluppo economico e l’uscita dalla crisi passano per una strada diversa.

Sicuramente, in campo energetico, vanno privilegiate in maniera decisa le fonti rinnovabili, ma il Ministero si è mai preso la briga di fare due conti e capire quanti posti di lavoro durevoli (e non solo per pochi anni!) si produrrebbero nelle stesse aree minacciate dalle trivelle (Adriatico centro-meridionale, Canale di Sicilia, Mar Ionio, Golfo di Oristano), se si usassero i soldi pubblici per investire nella riqualificazione e nella salvaguardia del territorio costiero, per incentivare turismo diffuso e sostenibile, capace di valorizzare storia e culture locali?

A chi sta davvero a cuore il futuro del lavoro, ma anche della vita delle persone che abitano quei luoghi? Taranto dovrebbe pur insegnarci qualcosa…

Il 31 luglio mattina, davanti alla più grande piattaforma petrolifera off-shore italiana, Vega-A,  – che opera su una concessione Edison-Eni e che si trova di fronte alla costa meridionale della Sicilia, al largo di Pozzallo – gli attivisti di Greenpeace hanno aperto uno striscione galleggiante con la scritta: ‘Meglio l’oro blu dell’oro nero’.

Provocatoriamente ci chiediamo: siamo sicuri che per rendere “buona” la nostra vita dobbiamo continuare a rincorrere oro, giallo, blu o nero che sia?

Crediamo – d’accordo con Tonino Perna (*) – che il bem viver passi per altre vie. A Rio, nella Cupula dos Povos sono stati in molti non solo a dirlo, ma anche a mostrarlo: interventi autorevoli di studiosi, di esponenti di governi, esperienze di organizzazioni popolari hanno fatto sentire le loro voci contro la mercantilizzazione della natura e della vita.

Sono passati solo due mesi e lo sguardo torna velocemente a piegarsi sugli interessi a corto raggio e di breve periodo… fino al prossimo Vertice internazionale che “piangerà” sugli scarsi risultati del precedente… Ma il rischio è che sarà il Pianeta – e noi tutti – a piangere…

(*) http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20120814/manip2pg/01/manip2pz/327206/